L'Italia non sa vincere in amichevole, ma Insigne regala un sorriso a Prandelli
L'Olimpico non è campo amico all'Italia di Cesare Prandelli, che per la seconda volta in ventuno mesi cade in amichevole nello stadio capitolino contro un avversario sudamericano: a novembre 2011 fu l'Uruguay, oggi è l'Argentina, che pur priva (per il rammarico di tanti) di Lionel Messi ha offerto un'ottima prova, al contrario di una squadra azzurra che ha palesato difficoltà sia a livello tattico e di gioco che per quanto riguarda le motivazioni.
Inizia a non essere un caso il fatto che - tolta la sfida con San Marino dello scorso giugno - l'ultima vittoria degli Azzurri senza i tre punti in palio risalga all'11 novembre 2011, quando con i gol di Balotelli e Pazzini l'Italia batté la Polonia. La mancanza di stimoli nei test match è diventata una vera e propria costante di questo gruppo, quasi incapace di mettere i sentimenti in questo tipo di gare. Eppure gli avversari recentemente affrontati - Inghilterra, Francia, Olanda, Brasile e appunto Argentina, che comunque non battiamo dall 1987 - dovrebbero rappresentare di per sé un motivo per cui cercare una vittoria che risulterebbe di grande prestigio, a prescindere dall'assenza di una posta in gioco.
Premesso ciò, l'elemento non positivo della serata è certamente la scarsa qualità di gioco espressa dagli Azzurri nei novanta minuti di gioco. L'assetto con due incursori dietro al solo Osvaldo - apparso piuttosto abulico - non è stato efficace contro il possesso palla albiceleste, cui l'Italia si è di fatto consegnata rinunciando al pressing, col paradosso ulteriore di aver subìto le due reti in transizione e non al termine di un'azione di giropalla della squadra di Sabella. Nel primo tempo, Giaccherini è stato lasciato troppo solo al suo destino, mentre la catena di destra formata da Candreva e Maggio, pur creando un paio di interessanti combinazioni, non ha portato i frutti visti in Brasile in Confederations Cup. Nella ripresa, con l'ingresso di Insigne e Cerci e il passaggio al 4-3-3 puro (e anche il fisiologico calo dell'Argentina) la squadra di Prandelli ha macinato maggiormente gioco, sempre però privilegiando un lato rispetto all'altro - stavolta il sinistro, grazie alle giocate del folletto del Napoli che dopo aver incantato nel corso dell'Europeo Under 21 ha dimostrato con lo strepitoso gol segnato di poter ampiamente stare anche nel gruppo dei grandi - e comunque continuando a produrre poco negli ultimi metri di campo.
Certamente hanno pesato prove non positive di alcuni singoli: oltre al già citato Osvaldo, anche gli altri due romanisti De Rossi e Florenzi hanno demeritato, con il primo che ha di fatto consegnato a Lamela il pallone da servire a Higuain per l'1-0; a centrocampo, con un Marchisio che ha faticato nel trovare spazi buoni e nell'infastidire il primo portatore di palla avversario, non ha funzionato l'esperimento Verratti, probabilmente ancora un po' acerbo per calcare con continuità certi palcoscenici senza limitarsi al compitino, mentre in avanti nessuno - tolto appunto Insigne - ha dato la sensazione di poter essere pericoloso sia in solitaria che in combinazione. Nota positiva invece tra i pali, dove Marchetti ha giganteggiato con un paio di interventi tanto spettacolari quanto efficaci. Il laziale costituisce ormai una sicurezza in caso di problemi fisici di Buffon e ha recuperato quella maglia di dodicesimo persa dopo la figuraccia sudafricana del 2010.
Siamo ormai abituati a non preoccuparci più di tanto dopo i KO nelle amichevoli, puntualmente riequilibrati da buone e ottime gare ufficiali e le due gare casalinghe di settembre contro Bulgaria e Repubblica Ceca potrebbero essere quelle della matematica certezza del nuovo biglietto per il Brasile. Occorrerà comunque cercare di rialzare la qualità del gioco, che in diversi casi è venuta meno quando il contesto non è stato ottimale, e badare un po' più al sodo anche senza i tre punti in palio. Vincere aiuta a vincere, e in Brasile tra un anno, dopo l'argento dell'Europeo e il bronzo della Confederations Cup, non si potrà andare per motivi diversi.